1 – Il Ministero della Verità potrà richiedere che il Partito fornisca informazioni ragionevolmente necessarie per le deliberazioni in modo tempestivo e trasparente;
2 – Il Ministero della Verità dovrà interpretare gli Standard della Comunità del Partito e altre politiche pertinenti (collettivamente denominate “politiche dei contenuti”) alla luce dei valori articolati del Partito;
3 – Indicare al Partito di consentire o rimuovere contenuti;
4 – Indicare al Partito di difendere o ribaltare una decisione presa sui contenuti;
5 – Emettere tempestive spiegazioni scritte in merito alle decisioni del Partito;Inoltre, il Ministero della Verità può fornire una guida politica, specifica per una decisione sul caso o su richiesta del Partito, sulle politiche sui contenuti del Partito. Il Ministero della Verità non avrà autorità o poteri oltre a quelli espressamente definiti da questa carta.
No, quello che avete appena letto non è un passaggio di 1984 che vi siete scordati, ma sono i “5 poteri” che Facebook ha attribuito all’Oversight Board, il Consiglio di Sorveglianza che dovrà valutare i “ricorsi” di chi ritiene di essere stato vittima di atti di censura da parte del social network di Menlo Park. Personalmente mi sono soltanto divertito a sostituire Consiglio con Ministero della Verità e Facebook con Partito, mentre il resto è tutto vero, come peraltro potrete verificare voi stessi a pagina 5 della Carta, un documento in cui vengono enunciati i compiti del Consiglio e il perimetro all’interno del quale potrà muoversi.
Dei criteri che Facebook adotta per decidere arbitrariamente chi e cosa eliminare dalla piattaforma, abbiamo parlato con profondità nei giorni scorsi, mettendo in evidenza l’assoluta imperscrutabilità dei metri di giudizio che determinano tali decisioni, collocandole in una sorta di zona grigia dove sembra vigere una sola regola: Facebook decide e non è tenuto a darvi spiegazioni.
Tuttavia, il clamore suscitato dalle censure oltre che da noi soprattutto negli Stati Uniti, ha fatto drizzare le antenne a Mark Zuckerberg, evidentemente preoccupato per le durissime prese di posizione di Trump, che ha detto a chiare lettere che le piattaforme che violeranno il diritto alla libertà di parola e opinione sancito dalla Costituzione rischiano grosso: da sanzioni salatissime fino alla chiusura.
Così, ecco servita la Commissione di Sorveglianza, una sorta di tribunale speciale a cui chi è stato cancellato dalla piattaforma potrà appellarsi per chiedere e sperare di ottenere giustizia, una “istituzione” internazionale (che valuterà le istanze provenienti da tutto il mondo, ndr) che, a regime, potrà contare su 40 componenti “indipendenti” la cui provenienza e i relativi criteri di selezione non sono dati a sapersi. Stando agli elementi che conosciamo, essendo costretti a valutare provvedimenti che Facebook scrive utlizzando il medesimo linguaggio delle “Condizioni di utlizzo”, cioè basato sul dico e non dico, non possiamo che limitarci a osservare che 40 componenti ci sembrano un po’ pochini, dal momento che dovranno valutare casi provenienti da ogni angolo del globo, e che Mark Zuckerberg non ci ha ancora spiegato chi decide se un’opinione va bene oppure debba essere cancellata e perché.
Questioni su cui è necessaria la massima chiarezza, dal momento che contenendo un numero così elevato di iscritti, oramai Facebook esercita un importantissimo ruolo sociale, ancora più pesante di quello dei media tradizionali, perché più invasivo.
Sta ai governi intervenire affinché Facebook offra libertà d’opinione a chiunque ne abbia una, perché se a quello che ci inducono a vedere sommiamo anche le cose che ci nascondono, allora comprendiamo quale potere smisurato esercitino sulle nostre opinioni e sulle nostre coscienze.