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Nicolò Balini, ovvero “Human Safari”

Di una cosa va fiero: «Non ho mai acquistato follower falsi. Sono nati così gli influencer che fanno viaggi lussuosi e gratuiti perché le aziende credono alla veridicità del numero dei seguaci».

Nicolò Balini, 28 anni, è diventato il travel blogger più popolare d’Italia “organicamente”, senza scorciatoie. «Molti profili non crescono e danno la colpa all’algoritmo. Ma io allora perché ce l’ho fatta?» ha raccontato in un’intervista. Per “avercela fatta” intende avere un profilo Instagram con 440 mila follower e due canali Youtube con più di un milione di iscritti.

“Human Safari”, così si fa chiamare, per colpa di un poster. A 17 anni aveva cominciato a tappezzare la sua cameretta di Fara Gera d’Adda, in provincia di Bergamo, di foto e annunci. Un giorno notò un ritaglio di giornale con quelle due parole che gli piacquero parecchio. Nel 2012, quando ha aperto un canale web per raccontare in video i suoi viaggi, ha deciso di chiamarsi così.

Una passione antica quindi, quella per la scoperta del mondo. Nicolò ha, infatti, iniziato a viaggiare da piccolo, con la sua famiglia. Poi, quando venne bocciato in seconda Liceo scientifico, decise di iscriversi a un Istituto turistico.

«È lì che ho scoperto il mondo del lavoro, con i primi stage. Nel frattempo, partivo con la mia attività da videomaker: accettavo di tutto per farmi le ossa: matrimoni, pubblicità aziendali. Ancora non ero bravo e difficilmente mi chiamavano per due volte di seguito. Ma quel poco bastava per guadagnare qualche soldo e investirlo subito in viaggi, da caricare poi su YouTube».

Dice che non fa “lo YouTuber”, Nicolò. Fa video e basta. Oggi sul suo seguitissimo canale ha la prova documentale di decine di viaggi attorno al mondo: dal tuffo nelle acque gelide del Circolo polare artico, all’estate a Polignano a Mare, passando per la tarantola inghiottita a Bangkok.

Il business è quello dei grandi influencer. Nicolò “collabora” con Enti del turismo, tour operator, compagnie aeree e realtà legate al mondo travel. Tradotto, si fa pagare per andare a raccontare il mondo. Invidia? Dirlo è facile a farlo davvero e bene ci riescono in pochi.

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