Si intitola “Studio di Proporzioni del Corpo Umano”, ma è universalmente conosciuto come l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, capolavoro assoluto del genio toscano e tra i simboli più famosi dell’Italia nel mondo (tanto da essere riprodotto sulle monete da 1 euro). È custodito a Venezia, alle Gallerie dell’Accademia e nel ricco (ma non sempre coerente) calendario delle celebrazioni della morte di Leonardo, è stato richiesto dal Museo del Louvre per una mostra celebrativa prevista a fine ottobre. In “cambio” ci avrebbero mandato un Raffaello, di cui, per altro si celebreranno i 500 anni dalla morte proprio il prossimo anno.
In realtà l’accordo era più ampio e pesantemente squilibrato. Lo scambio, infatti, prevedeva il prestito italiano nei confronti dei francesi di ben 21 opere, a fronte delle 7 di provenienza francese. A “scandalizzare” ulteriormente il fatto che, nonostante il famoso quanto delicato disegno di Leonardo, per motivi conservativi, sia raramente esposto al pubblico e, quindi, non inserito nel percorso abituale di visita delle Gallerie dell’Accademia, è parso perfettamente normale e poco rischioso impacchettarlo e spedirlo Oltralpe per una mostra destinata a registrare grandi numeri di visitatori.
Una settimana fa, tuttavia, il TAR del Veneto ha bloccato l’uscita dall’Italia dell’opera, a seguito di un ricorso presentato da Italia Nostra che si basa sull’art. 66, comma 2, lett. b, del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, il quale vieta che vengano fatte uscire dal territorio della Repubblica beni che costituiscono il fondo principale di un museo, pinacoteca, galleria o archivio. La discussione in camera di consiglio è stata fissata per oggi 16 ottobre, in gran fretta, per sciogliere qualsiasi nodo prima dell’inizio della grande mostra di Parigi.
A latere della vicenda giudiziaria (il provvedimento sospende anche il memorandum di intesa firmato a Parigi tra il ministro Dario Franceschini e il suo collega Franck Riester), è davvero necessaria una riflessione più ampia.
Il dilemma è palese: tenere nel nostro Paese un capolavoro assoluto, pur non avendo le capacità di valorizzarlo, oppure prestarlo a chi, più di noi, ha pensato di sviluppare progetti efficaci?
Questo, certo, spaccherà l’opinione pubblica tra chi vuole a tutti i costi “tenere in casa” l’arte Italiana e chi, invece, punta alla valorizzazione dell’opera a ogni costo, indipendentemente da chi la proponga. Entrambe le posizioni sono comprensibili e valide, sebbene partano da valori diversi. Comunque la si guardi, il problema sembra, quindi, non tanto il prestito al Louvre, quanto il perché non siamo stati capaci noi di produrre un progetto culturale di tale portata.
Una mala gestione del settore culturale e una mancanza di progettualità non sono solo deleterie per le casse dello Stato, privandolo di introiti preziosi, ma anche per la nostra immagine internazionale. La Storia ci insegna, infatti, come sia sempre stato importate competere anche sul piano culturale e come l’arte sia un veicolo di valori identitari, una risorsa per ogni nazione.
Il nostro Paese ne è sempre stato molto ricco, ma questo non basta, infatti, come ogni ricchezza che si rispetti, si dequalifica se non c’è un investimento per mantenerla oppure, ancora meglio, per aumentarne il pregio.
L’anno delle celebrazioni leonardesche sta volgendo al termine e rattrista vedere una delle opere più importanti del Da Vinci pronta ad essere prestata e trasportata altrove, quando avremmo avuto l’occasione di progettare qualcosa di veramente unico in Italia.
Potremmo non avere grandi giacimenti di petrolio, ma potremmo davvero fare affidamento sul capitale che la storia ci ha consegnato. Basterebbe volerlo.