Per rimanere competitiva, la Rai dovrà superare le vecchie logiche e introdurre un criterio meritocratico che la apra ai giovani, rendendola veloce e smart.
Parola del presidente Marcello Foa, che nel suo intervento al Prix Italia ha tenuto a sottolineare anche che “è dovere del servizio pubblico affiancare alle grandi produzioni anche la realizzazione di contenuti di alta qualità senza preoccuparsi troppo degli ascolti, un lusso che i concorrenti privati non possono permettersi, motivo per cui per la Rai è giusto farlo”.
Un mondo, quello della televisione, sempre più proiettato sulle logiche introdotte dalla rivoluzione digitale, che stanno plasmando il pubblico su di esse abituandolo, quindi, alla fruizione “on demand” secondo il principio delle tre O: ogni cosa, ogni tempo in ogni luogo.
Considerazioni che, unitamente alle statistiche sul tempo che trascorriamo online, formano un combinato disposto che mi spinge a ritenere che la televisione diventerà ben presto il second screen: ciò significa che produrrà sempre più contenuti realizzati in funzione del nuovo first screen, ovvero lo smartphone.
Uno scenario che implicherà un’ulteriore accelerazione al processo di trasformazione digitale messo in atto dalla Rai che, nel giro di pochi anni, dovrà diventare una enorme content factory capace di creare contenuti studiati specificatamente per ognuna delle piattaforme in cui verranno distribuiti e dei target che dovranno raggiungere.
Discorso che vale non soltanto per cultura e intrattenimento ma, inevitabilmente, anche per l’informazione, che dovrà essere sempre di più reinterpretata per fare della tivù pubblica il vero e proprio faro dello smart journalism, garantendo spazio alle migliori voci del giornalismo nazionale per contrastare il fenomeno della polarizzazione non con la clava del politicamente corretto, ma offrendo pluralismo e verità.