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INCHIESTA SULLA CINA

Vieni avanti Pechino

L’Occidente è sempre più sottomesso alla Cina. Lo siamo a tal punto che riusciremmo a giustificarli perfino se domattina sganciassero l’atomica su Washington: per rendersene conto è sufficiente leggere i giornali o ascoltare le dichiarazioni dei governanti, tutti fermi al dito senza curarsi minimamente della Luna.

Si tratta di una precisa strategia di comunicazione, funziona in questo modo: siccome quello di Pechino è oggettivamente un regime sanguinario e io devo recitare la parte del difensore di libertà e democrazia, fingo di attaccarlo su temi del tutto ininfluenti omettendo le questioni veramente importanti.

Qualche esempio? Anziché chiedere i danni per aver infettato il mondo con il Covid simulano indignazione per la scomparsa della tennista Peng Shuai, andando ben oltre il confine del ridicolo mostrandosi stupiti, come se scoprissero oggi che quella di Pechino è una dittatura comunista.

Potremmo poi parlare della repressione messa in atto in Tibet, Taiwan e Hong Kong, dell’ipocrisia di vertici sulla sostenibilità utili soltanto a ricordarci che la Cina da sola inquina più di Europa e Stati Uniti messi insieme, delle clamorose violazioni dei diritti umani perpetrate attraverso mostruosità come social credit e campi di rieducazione. Insomma, se volessimo elencare i crimini del regime guidato dal Partito Comunista Cinese potremmo stare qui fino a domani mattina.

Tutte le dittature sono cattive ma alcune sono meno cattive delle altre. Se fosse ancora vivo, probabilmente George Orwell descriverebbe così l’atteggiamento dell’Occidente nei confronti della Cina, che da par suo può contare sulla condiscendenza derivante dall’affinità ideologica con l’internazionale radical chic, che si sostanzia nella sistematica legittimazione del regime vero (quello comunista cinese) e nella conseguente delegittimazione di chiunque sia “non di sinistra”, che viene automaticamente buttato nel calderone del regime immaginario (quello fascista, morto e sepolto da quasi 80 anni).

Propaganda e disinformazione che, come dicevamo prima, viaggiano di pari passo omettendo le notizie più scomode, utilizzandone parzialmente altre, mettendo a tacere in fretta e furia le voci più compromettenti e diffondendo fake news allo scopo di spostare l’attenzione su altro.

Prendiamo la consecutio su origine e diffusione del coronavirus: all’inizio la Cina era sicuramente innocente su tutta la linea, poi qualcuno ha timidamente puntato il dito sulla mancanza di condivisione di informazioni che favorì il propagarsi del virus nel mondo e infine si è giunti anche alla possibilità che il Covid sia stato costruito nel laboratorio di Wuhan.

Una questione epocale, che dovrebbe stare in cima all’agenda della comunità internazionale, visto e considerato che la pandemia ha cambiato – ad oggi certamente in peggio – i connotati al mondo e al nostro stile di vita, producendo effetti che nel medio e lungo periodo potrebbero rivelarsi ben più disastrosi di quanto immaginiamo.

Eppure, invece di inchiodare la Cina alle sue responsabilità noi che facciamo? Ci dividiamo sui vaccini. Se qualcuno leggesse questo articolo dopo essersi svegliato da tre anni di coma, dovrebbe sforzarsi non poco per comprendere la ratio di una lacerazione sociale che nasce non perché il vaccino non si trova o non viene messo a disposizione di tutti, ma perché c’è gente che si rifiuta di farlo in nome della “libertà” dopo aver trascorso due anni tra lockdown, chiusure e coprifuoco a causa del virus.

Una deriva resa possibile anche grazie ad una imponente campagna di disinformazione che, non a caso, ha consentito ai fiancheggiatori di Pechino di prendere due piccioni con una fava: fare in modo che non si parli delle responsabilità della Cina e mettere sullo stesso piano le deliranti teorie dei novax e la lotta sacrosanta a pensiero unico e politicamente corretto.

Un errore madornale compiuto da molti che, a vario titolo, rappresentano l’area di opinione pubblica antitetica ai radical chic, poiché fornisce loro un comodissimo alibi per screditare altri temi – questi sì, seri nonché cruciali per la difesa della nostra libertà – come la difesa di cultura e tradizioni contro l’avanzare del relativismo etico e della cultura della cancellazione, della tutela della famiglia come nucleo fondante della nostra società, della riscoperta delle nostre radici come difesa dalla minaccia costituita dall’integralismo islamico.

Ecco, anziché dividerci dovremmo cominciare a parlare di Sovranità Occidentale, avendo il coraggio di guardarci negli occhi e renderci conto, una volta per tutte, che consentire ai nostri figli di vivere in un mondo veramente libero in quanto autenticamente incardinato sui valori dell’Occidente, vale infinitamente di più degli interessi economici dei centri di potere disposti a tutto, pur di continuare a fare affari con la Cina.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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