Di acqua sotto i ponti ne è passata un bel po’ da quando Gianfranco Funari portò nel piccolo schermo Aboccaperta: gli italiani hanno qualcosa da dire: a quel tempo la rivoluzione digitale era agli albori e l’informatica cominciava ad affacciarsi nelle case di milioni di persone attraverso videogame e home computer ma del Web, ovviamente, non c’era nemmeno l’ombra.
L’intuizione fu quella di ribaltare il paradigma secondo cui la distanza tra chi stava dentro la televisione e gli spettatori fosse sostanzialmente incolmabile: volendo usare una metafora è come se Funari avesse magicamente allungato il braccio fino al salotto di alcuni italiani, per afferrarli e portarli dentro al suo studio televisivo. Da spettatori a protagonisti del programma, insomma.
Più di 34 anni dopo, Nunzia De Girolamo ne raccoglie idealmente il testimone portando in prima serata Avanti Popolo, programma che si basa sulla presenza di un pubblico (il “popolo”) a cui viene data la facoltà di intervenire su temi di rilevanza sociale e, talvolta, anche di attualità politica.
A differenza di quanto affermato superficialmente da alcuni commentatori, quella compiuta dalla De Girolamo e dagli autori è una scelta estremamente coraggiosa in virtù di ciò che affermavo all’inizio: negli ultimi 35 anni il mondo è stato letteralmente stravolto dall’avvento del digitale che, insieme al nostro stile di vita, ha rivoluzionato anche il modo in cui comunichiamo.
Infatti, mentre alla fine degli anni ’80 poter esprimere la propria opinione in tv rappresentava un evento straordinario tanto per il diretto interessato quanto per i telespettatori, oggi siamo ormai tutti abituati a utilizzare la nostra dimensione digitale per esprimerci su qualsiasi argomento: ergo, il fatto di dare la parola a gente comune non rappresenta più un elemento catalizzante “a prescindere” (come direbbe il grande Totò), ma potrà creare valore se contestualizzato in uno schema che tenga debitamente conto dell’orizzontalità della comunicazione attuale.
Fondamentalmente, Nunzia De Girolamo sta lavorando per unire la dimensione del first screen (ovvero la televisione) e quella del second screen (cioè il nostro smartphone quando lo utilizziamo per commentare in tempo reale ciò che stiamo guardando in televisione) offrendo, così, ai telespettatori chiavi di lettura autentiche e non mediate dall’editore di un giornale, dalle posizioni di un partito o dalle scelte di un algoritmo.
Una sfida ambiziosa e affascinante al tempo stesso, che andrà seguita con attenzione e anche sostenuta, come tutti gli spazi che tutelano un principio che oggi troppo spesso viene messo in discussione: la libertà di parola.