Che Orwell ci avesse visto lungo non è certo un mistero, almeno per noi. Supponete di trovarvi nel nord dell’Europa, a uno dei meeting più influenti in tema d’innovazione, circondati da migliaia tra imprenditori, investitori, giornalisti e accademici. Un’occasione per fare business, certo, ma anche per contaminarsi a vicenda con idee e culture differenti; tutto bellissimo e tremendamente stimolante.
Ora immaginate di essere impegnati a spiegare il vostro progetto ad alcune persone che si sono fermate allo stand per chiedervi informazioni a riguardo e di venire improvvisamente interrotti da due ragazze dell’organizzazione, che vi scrutano come se vi foste macchiati di chissà quale crimine. Oddìo, che avrò combinato? Pensereste.
«Buongiorno, la invitiamo a non distribuire i suoi giornali, sono contrari al principio di sostenibilità», mi disse una di loro, improvvisando un mal riuscito tono di voce perentorio.
«Cioè, mi state dicendo che i giornali sono contro la sostenibilità?», domandai loro.
«Esatto», risposero insieme, fissandosi la punta delle scarpe.
A quel punto presi uno dei miei libri – che avevo esposto sul tavolo dello stand – glielo mostrai e domandai: «Quindi anche i libri sono contro la sostenibilità?».
Colte di sorpresa si guardarono, come per interrogarsi e, all’unisono, mi risposero timidamente con un «sì, anche i libri».
Al che dissi loro, ovviamente con molto garbo, che m’innorridiva sentire due giovani scagliarsi contro libri e giornali, invitandole a mandarmi qualcuno dei loro responsabili, poiché sarei andato avanti a distribuire le mie copie di Orwell. Ovviamente nessuno è venuto a “ufficializzare” una presa di posizione che definire insensata sarebbe un eufemismo.
Però è bene rifletterci perché, avanti di questo passo, tra non molto le nostre piazze saranno invase, oltre che da sardine, anche da persone che manifesteranno contro i libri e i giornali di carta.
Pensateci, quale pretesto migliore della sostenibilità? Chi potrebbe mai dirsi contrario alla cura dell’ambiente? Diranno che deve essere tutto digitale, tutto liquido, tutto fluido, tutto senza controllo e, soprattutto, senza una collocazione nel tempo e nello spazio. Cultura, informazione, idee e libertà: tutto diluito in una sorta di trasposizione omeopatica, utile soltanto a illuderci di sapere cose che in realtà non conosciamo nemmeno lontanamente.
Una società basata sulla superficialità, dove l’approfondimento è bandito perché poco sostenibile… sì, dai fautori dell’omologazione al pensiero unico grazie al quale assoggettarci e manipolarci. Insomma, l’obiettivo è quello di renderci tutti ingranaggi di un perverso meccanismo del quale, consapevolmente o meno (fa poca differenza), il mainstream è diventato schiavo e motore al tempo stesso; uno schema che, inevitabilmente, ci riporta a Orwell:
«La Storia era un palinsesto grattato fino a non recare nessuna traccia della scrittura antica e quindi riscritto di nuovo tante volte quante si sarebbe reso necessario. In nessun caso sarebbe stato possibile, una volta che il fatto era stato commesso, provare che aveva avuto luogo una qualche falsificazione. La sezione più grande dell’Archivio, assai più grande di quella in cui lavorava Winston, era formata semplicemente da gente il cui incarico consisteva nel rintracciare e nel mettere assieme tutte le possibili copie di libri, giornali, e altri documenti che erano stati superati e che erano quindi destinati ad essere distrutti.» 1
Vogliamo davvero che i nostri figli anziché nel 2020 crescano in 1984? Io no: svegliatevi, svegliamoci, apriamo gli occhi!