L’intervento dell’Europa e il percorso di regolarizzazione per i rimedi omeopatici, l’ambiguità della politica, qualche critica – senza troppi peli sulla lingua – rivolta alle industrie farmaceutiche ma, soprattutto, l’esigenza d’informare in modo serio i pazienti sull’inefficacia dei rimedi omeopatici.
Sono questi alcuni dei temi presenti nella seconda e ultima parte dell’intervista con Silvio Garattini (la prima parte la trovate qui), ricercatore di statura internazionale, fondatore e direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano.
La regolarizzazione dei rimedi omeopatici parte dall’Europa. L’Italia ha recepito, in ritardo, una direttiva volta sia a presentare con ordine le caratteristiche dei prodotti omeopatici sia a evitare situazioni di concorrenza sleale. È d’accordo?
«Ritengo sia sempre frutto di mancanza di conoscenza scientifica».
Una tirata d’orecchie alla politica?
«Vede, la politica è sensibile ad altri fattori. Ci sono in gioco molti posti di lavoro. Dobbiamo capire se questi prodotti sono utili per mantenere l’occupazione oppure per guarire. Dal mio punto di vista, vengono sempre prima gli interessi dei pazienti, poi tutto il resto».
A proposito di pazienti, l’Italia è uno dei Paesi europei in cui, più di altre realtà, si abusa di farmaci.
«Guardi, sono cinquant’anni che dico una cosa: il 60% dei farmaci all’interno del prontuario terapeutico sono completamente inutili. Detto questo, il problema non si sposta. L’esistenza di farmaci inefficaci non implica il fatto di dover sopportare anche quelli omeopatici».
Lei, peraltro, sforbiciò mica male nel 1993.
«Vero. Da membro della Commissione unica del farmaco ho tagliato dal prontuario un fatturato pari a quattromila miliardi di lire».
Proviamo a fare un po’ di autocritica? Anche nel campo della medicina allopatica sono presenti farmaci dalla dubbia efficacia. Per esempio, gli inibitori della colinesterasi, il riluzolo o l’edaravone…
«Noi dobbiamo essere equi nel nostro giudizio. Abbiamo appurato che l’omeopatia non serve, ma anche i farmaci inutili devono essere eliminati dal prontuario del servizio sanitario perché si tratta solo di uno spreco di denaro».
D’altra parte, esistono anche farmaci con effetti collaterali più dannosi se confrontati alle patologie che dovrebbero curare. Conferma?
«Sì, ma non è rilevante rispetto alla presenza dei prodotti omeopatici che sono certamente inefficaci».
L’omeopatia può essere considerata una “moda”?
«In parte sono d’accordo. Dove manca cultura le mode diventano importanti e prendono il sopravvento. Torniamo sempre al punto di partenza».
Alla mancanza di cultura scientifica?
«Certo, è sempre quello il punto fondamentale».
Ogni anno annotiamo un’impennata della spesa farmaceutica, che ha raggiunto quasi i 30 miliardi di euro, per il 75% rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. Mediamente ogni cittadino spende 492 € all’anno: non si sta un po’ esagerando? Non crede anche lei che stiamo assumendo farmaci con eccessiva disinvoltura?
«È il frutto del mercato e di un’informazione tendenzialmente di parte. Nel nostro Paese manca l’informazione indipendente. Se esistesse, i medici sarebbero esposti almeno a due pareri diversi».
Quindi domina il mercato?
«Certo. Oggi un medico è sollecitato solo dai racconti provenienti dall’industria farmaceutica. C’è troppa propaganda. Pensi solo ai messaggi pubblicitari in televisione di prodotti che “lavano più bianco del bianco”; è molto probabile che una volta al supermercato, il consumatore sia tentato di testarne l’efficacia. Con i farmaci capita la stessa cosa».
Non è un po’ colpa anche dei medici?
«I medici sono sottoposti al pressing asfissiante da parte dei rappresentanti farmaceutici. Un bombardamento di notizie che, però, non è bilanciato da informazioni indipendenti».
Come si risolve il problema?
«Per esempio, organizzando seminari pubblici in cui confrontarsi. Tu, industria farmaceutica, mi racconti delle cose, io medico, ne discuto con te. Capisce? Sarebbe molto diverso. Chi fa informazione indipendente? Pochissimi. Il nostro istituto cerca di farlo, ma sono briciole se paragonate alla capacità di spesa di un’industria farmaceutica per la sua propaganda. Ministero della Salute, assessorati vari e Aifa non hanno nessuna forma d’informazione indipendente».
Tuttavia, anche il mondo della ricerca (un particolare che mi è stato segnalato pure da Omeoimprese) è legato a interessi economici. Forse, qualche spreco si annida anche qui. Cosa ne pensa?
«Indubbiamente esiste tanta ricerca farmaceutica che non è d’interesse per il paziente, ma non ha alcuna attinenza con l’omeopatia che ricerca non ne fa [1].
Sono due cose distinte. Le aziende omeopatiche cercano di aggredire su un altro campo per giustificare il loro, invece la mia posizione è diversa».
Qual è la sua posizione?
«Io dico: ciò che non funziona nell’allopatia va modificato, le aziende omeopatiche, invece, cercano solo una giustificazione per la loro attività. Cosa fanno, però, per modificarla? Anzi, mi permetta una precisazione.
Noi, per esempio, d’interessi non ne abbiamo. Quando collaboriamo con l’industria farmaceutica, ed è solo una piccola percentuale della nostra attività [2], manteniamo la proprietà dei dati fino alla pubblicazione».
Parlando di salute non sarebbe utile mettere da parte l’aspetto economico?
«Il medico che lavora nel Servizio sanitario nazionale ha il dovere di prescrivere il farmaco che costa di meno a parità di effetto».
Da bambino, però, ricordo il medico (in caso di blanda influenza) consigliare a mia mamma i “rimedi della nonna”, latte caldo e miele e, al massimo, un’aspirina…
«È vero, oggi si prescrivono molti più farmaci, ma fa parte anche della medicina difensiva. Con maggior facilità, rispetto a un tempo, i medici sono coinvolti in diatribe legali…».
Lei, l’abbiamo già accennato, ha scritto in collaborazione con altri illustri colleghi, il libro “Acqua fresca? Tutto quello che è utile sapere sull’omeopatia”. Come mai ha inserito il punto di domanda?
«L’ha voluto l’editore (sorride ndr)».
A chi è rivolto il suo libro?
«Soprattutto ai dubbiosi. Chi crede fortemente nell’omeopatia non è certamente influenzabile dal mio libro, testo però che contiene tutte le informazioni necessarie per capire l’inefficacia dei rimedi omeopatici».
Glielo chiedo esplicitamente: per lei l’omeopatia non ha davvero nessun merito?
«L’effetto placebo. Niente di più. Le faccio esempio.
Se prendessi una buona bottiglia di Barolo e iniziassi il processo della diluizione omeopatica, lo imbottiglio e scrivo Barolo omeopatico: secondo lei, esiste qualche stupido che l’acquisterà?
No, perché le persone sono perfettamente in grado di distinguere l’acqua dal vino, si tratta di una certezza maturata nel percorso della vita. Quando si parla di farmaci tutto cambia, perché la maggior parte degli utilizzatori non li conosce. A differenza, invece, di quanto accade se oggetto del confronto sono l’acqua e una buona bottiglia di vino rosso».
Come spiega, allora, la presenza di un premio Nobel [3] tra i sostenitori dell’omeopatia?
«Guardi, le eccezioni ci sono dappertutto. La stragrande maggioranza degli scienziati contesta l’efficacia dei prodotti omeopatici».
Allontaniamoci per un momento dai nostri confini. Il governo francese ha annunciato che entro il 2022 i farmaci omeopatici non saranno più rimborsati, dal 2016 gli Stati Uniti impongono sull’etichetta dei prodotti omeopatici la dicitura “non esiste evidenza dell’efficacia”, nel Regno Unito è in atto una sorta di sollevazione [4]. Per ovvie ragioni, invece, tiene botta la Germania…
«In Germania, come si suol dire, le aziende omeopatiche giocano in casa. Esiste, alle spalle, una forte e influente industria di quel tipo di prodotti e non dimentichi, poi, che Samuel Hahnemann era tedesco».
Qual è il suo giudizio sulla figura di Hahnemann?
«Il suo successo è giustificato dal fatto che, nell’Ottocento, i farmaci erano delle vere e proprie porcherie composte, per fare un esempio, con alghe, piante e organi animali. I malati assumevano questi preparati senza trarne beneficio alcuno. L’intuizione della diluizione sta tutta qui: non portava a guarigione il paziente, ma almeno non lo faceva stare peggio».
Anche l’Australia ha preso posizione, ne parla nel suo libro.
«Sì, nel volume è riportato l’esito della revisione sistematica di studi su 70 diverse condizioni patologiche (influenza, raffreddore, asma, nause e altre ndr) condotta dal National health and medical research council. Per farla breve, l’ente australiano conclude il rapporto definendo “non etico” l’uso dell’omeopatia a causa della sua inefficacia».
(2 – fine)
note:
[1] Il presidente di Omeoimprese ha dichiarato al nostro giornale che, mediamente, un’azienda produttrice di rimedi omeopatici investe nella ricerca circa il 20% del fatturato.
[2] Circa il 20% dell’attività di ricerca dell’Istituto “Mario Negri”.
[3] Juanne Pili, “Le ultime affermazioni di Luc Montagnier sulle «basi scientifiche» dell’omeopatia”, Openonline
[4] Gareth Iacobucci, “Homeopathy should have professional accreditation revoked, Nhs leaders urge, The Bmj