Dieci domande per riflettere sul presente e tentare di preconizzare il futuro del giornalismo. Sono quelle su cui, insieme a Guido Giraudo, abbiamo ragionato con l’obiettivo di aprire una porta che si affacci su un orizzonte più chiaro riguardo alle modalità con cui le notizie vengono prima scritte, poi distribuite e, infine, consumate dai lettori.
Si tratta di una questione tutt’altro che banale, essenzialmente per due motivi: il primo è che, come dimostrano i numeri emersi dal Rapporto sul consumo di informazione realizzato dall’Agcom, già oggi sono gli algoritmi di Google e Facebook a determinare – in gran parte – chi leggerà cosa e quando; il secondo riguarda il ruolo dei media, a cui il Web ha imposto di rinunciare a rilevanti quote di qualità e autorevolezza per monetizzare grazie a contenuti capaci di generare click.
Ergo, meno tempo per scrivere, ancora meno per valutare l’attendibilità di una notizia e meno soldi percepiti per il proprio lavoro.
A tutti questi meno fa da contraltare un più grande quanto una casa, ovvero il numero di contenuti da produrre e pubblicare quotidianamente, anzi, istantaneamente.
Tutto e subito, insomma, e pazienza se qualità e autorevolezza vanno a farsi benedire perché l’importante è fare click.
Quindi sempre meno contenuti di qualità, e sempre più “notizie” che, fino all’avvento degli smartphone, su siti come Corriere e Repubblica (giusto per citare i due più cliccati) non avrebbero mai trovato diritto di cittadinanza: il balletto di Vacchi, la pettinatura di Ferragni e Fedez, gli sproloqui di Corona, la farfallina di Belen e qui mi fermo, per non girare ulteriormente il coltello nella piaga.
Da qui la vera e propria necessità di porre le nostre dieci domande a professionisti dello spessore di Derrik de Kerckhove, Maria Pia Rossignaud, Luisella Costamagna, Luca Rigoni, Marcello Veneziani e altri, per capire, grazie alle loro riflessioni, se l’esistenza dell’essere umano sarà sempre più destinata a essere orientata da intelligenze artificiali a loro volta orientate da qualcuno e comprendere, insomma, se il nostro 1984 stia volgendo al termine o se, al contrario, sia appena cominciato.