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POLITICA USA

I fatti contano più delle chiacchiere dei media: Trump verso la rielezione

La settimana post Independence Day per Donald Trump ha sapore di 2020. Tante cose stanno andando come il presidente vuole e, per quanto i modi non siano ortodossi, i risultati sono palpabili. La crescita economica e lo storico incontro con Kim Jong-un ne sono la testimonianza.

È vero, nelle ultime settimane l’economia ha subito un leggero rallentamento ma questo non desta preoccupazione alla Casa Bianca, poiché i dati parlano da soli. Il rapporto mensile sull’occupazione pubblicato lo scorso venerdì mostra che i posti di lavoro nel mese di giugno sono aumentati di 224.000 unità. Anche i salari sono aumentati, esattamente del 3.1% negli ultimi dodici mesi.

Il mercato azionario, invece, resta alle stelle, con l’indice Dow Jones che ha registrato un nuovo massimo storico in questa settimana sull’onda dell’ottimismo per la probabile fine della guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina, senza escludere la possibilità che la Federal Reserve abbassi i tassi d’interesse. Confermate tutte queste condizioni, secondo molti esperti, si potrebbe anche azzardare l’ipotesi di una ulteriore crescita da oggi fino a novembre 2020.

Persino il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Kudlow, ha affermato che “le politiche di Trump hanno alimentato un ciclo di prosperità molto forte”, aggiungendo che “abbiamo ottime politiche di crescita proattiva, imposte basse, deregolamentazione, riforma del commercio (…) penso che i nostri  incentivi stiano funzionando”.

Indubbiamente questo è il punto forte della campagna elettorale che Donald Trump ha già lanciato poche settimane fa, anche se, per un presidente in carica, la crescita economica rappresenta di per sé un punto di forza. E non occorre meravigliarsi per le affermazioni rilasciate ai giornalisti dal presidente lo scorso venerdì: “abbiamo avuto grandi numeri questa mattina, questi erano inaspettatamente buoni, e il nostro paese continua a fare davvero bene, davvero, molto bene”.

Il secondo punto a favore di Trump nella sua caccia alla rielezione è la guerra interna ai democratici.

La Casa Bianca teme Joe Biden, candidato centrista che potrebbe impensierire Trump in stati come Wisconsin, Michigan e Pennsylvania che, com’è noto, nel 2016 sono stati vinti dall’attuale inquilino della casa più famosa al mondo. Biden, però, dopo i primi dibattiti ha perso molti punti e, per quanto oggi resti il favorito, la corsa per la nomination non appare nitida come prima. La domanda da porsi è la seguente: qualora l’ex vicepresidente di Obama alla fine dovesse farcela, i progressisti saranno davvero motivati nel sostenerlo?  Dal Senato, il leader della maggioranza Mitch McConnell fa sapere che il GOP spera in un candidato progressista più che centrista. Ecco dunque che, nella sfida singola fra Trump e i vari candidati alla presidenza in casa democratica, è Kamala Harris, seguita a ruota da Bernie Sanders, a spaventare maggiormente lo staff del presidente.

È vero, secondo i sondaggi Trump perderebbe contro i maggiori indiziati in casa DEM (Biden, Harris, Sanders, Warren), ma è altrettanto vero che entro i cinque milioni di voti di scarto a favore dei democratici, Trump riuscirebbe lo stesso a vincere.

In casa repubblicana, fa inoltre molto comodo sentire i candidati democratici parlare di assistenza sanitaria gratuita agli immigrati che si trovano illegalmente nel paese: secondo i vertici del partito, questo potrebbe portare molti indipendenti a revocare l’appoggio ai democratici. Questo calcolo, però, potrebbe essere sbagliato.

Se esiste un punto sul quale è più facile attaccare Donald Trump è proprio l’immigrazione. Il trattamento deciso dalla Casa Bianca nei confronti dei migranti detenuti al confine meridionale è, senza dubbio, la principale causa di distacco fra gli elettori indecisi e Trump. Il presidente ha subito perdite nei tribunali su tutto, dal desiderato muro lungo il confine messicano alla richiesta di aggiungere una domanda sulla cittadinanza americana nel 2020. A tal proposito, nella giornata di ieri, il presidente ha affermato che non intende più aggiungere tale domanda e che tenterà di ottenere questa informazione tramite un ordine esecutivo.

Questa è una delle principali motivazioni che i democratici vogliono utilizzare per sconfiggere Trump il prossimo anno. I DEM sentono la nazione stanca dell’eccessiva divisione della presidenza Trump e alcuni, vedono tutt’oggi la sua elezione nel 2016 come un colpo di fortuna.

Alla resa dei conti fra i punti a favore e contro, Trump sa di avere un vantaggio da non dover depauperare nei prossimi mesi, quando si entrerà nel vivo della campagna elettorale.

Anche il nulla di fatto sul Russigate, quel “no collusion” ripetuto dal presidente fino alla nausea, da possibile bomba al neutrone per una procedura d’impeachment è divenuto un punto di forza per la campagna elettorale.

Trump, più di ogni altra cosa, sa bene che solo alcuni presidenti in corsa per la rielezione hanno perso dal 1900 a oggi. Il numero di presidenti che hanno perso mentre gestivano un’economia forte è ancora più basso.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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