Dopo una giornata come quella di ieri, riempire questa pagina bianca, è difficile e semplice al tempo stesso. La difficoltà è figlia dell’emotività e del dolore, mentre la semplicità deriva dal fatto che sto scrivendo di mio padre, e che lo faccio dopo che in tanti, ieri mattina, vi siete stretti a lui in un abbraccio che durerà in eterno.
Attraverso i vostri occhi inumiditi dall’emozione ho rivissuto ogni momento della mia vita insieme a lui e voi: ognuno di noi rappresentava un tassello del pezzo di strada, breve o lungo che fosse, del cammino compiuto al fianco di Gregorio. Riflettendoci, per certi aspetti si è trattato della sua ultima grande impresa, riunire amiche e amici che non si rivedevano da anni.
Negli ultimi giorni ho pensato molto al senso della vita, che di fronte alla sofferenza e alla malattia sembra svanire nel nulla, e invece si eleva a qualcosa di più grande, capace di andare ben oltre alla nostra dimensione terrena, perché oltre ad essere carne siamo anche spirito, che si espande e si propaga dovunque abbiamo vissuto e amato.
Gregorio amava profondamente Como, un amore viscerale, che si è sempre tradotto in un perpetuo atto di devozione e riconoscenza, per essere stato accolto come un figlio sin dal primo istante.
La sua divisa, poi, lui non si limitava a indossarla, no, la viveva, perché faceva di lui un rappresentate di quell’amalgama di storia, regole e persone che è la sua città. «Un Vigile non è soltanto colui che fa le multe o dirige il traffico, chi sceglie di fare questo mestiere deve mettere al primo posto l’umanità, perché senza di quella non verrà mai percepito come un punto di riferimento, e quindi non sarà né benvoluto né rispettato. Noi Vigili siamo il primo impatto che i cittadini hanno con il Comune, e dobbiamo fare ogni cosa perché l’Istituzione sia vissuta come amica», mi ripeteva spesso. Nel suo ufficio conservava con cura la foto di Gianni Caminiti, il suo primo comandante, che per lui è stato un padre acquisito, e mi raccontava, tentando di imitarne la voce, che dai suoi “cazziatoni” aveva imparato tanto, quasi tutto.
Insegnamenti che è riuscito a mettere in pratica nella sua carriera anche e sopratutto grazie alla vicinanza di una donna straordinaria come Patrizia, mia mamma, che gli è sempre stata accanto con grande discrezione, senza mai fargli pesare il fatto che dedicasse al lavoro gran parte del suo tempo. La sua seconda famiglia, poi, erano i Colleghi. Lui aveva pochissimi altri amici, al di fuori del Corpo; e quando per ragioni di servizio doveva affrontarli a brutto muso, in privato se ne dispiaceva, confidandoci che lo faceva a fin di bene.
Quello era il mondo che si era scelto e per il quale ha dato il meglio di se stesso, le sue Colleghe e i suoi Colleghi coetanei erano i fratelli, e quelli più giovani i figli. Anche dopo il commiato, lui quella divisa non l’ha mai dismessa, ha sempre continuato a studiare e ad aggiornarsi esattamente come se fosse ancora in servizio: se solo avesse potuto, avrebbe continuato la sua missione anche gratis, glielo leggevo negli occhi.
Soffriva, evidentemente andando in pensione aveva smesso di sentirsi utile, e il suo orgoglio faceva sì che uscisse sempre più di rado. Da figlio, da marito e da padre, non potrò che essergli grato in eterno perché se oggi sono quello che sono lo devo ai suoi insegnamenti e anche ai nostri scontri.
Sarà dura, per me, andare avanti senza di lui, perché in questi momenti nella mia mente si addensano tutte le cose che avremmo potuto fare insieme e che invece non abbiamo fatto. Testardo lui, testardo io. Intanto, con la giornata di ieri, credo che abbia voluto mandarmi un segnale, facendomi incontrare i miei amici di una vita, anche quelli con i quali le strade si erano divise, e che oggi si sono incrociate di nuovo; è stato un po’ come tornare alle origini, per farmi sentire meglio, a casa.
Proprio come in una delle tante citazioni latine che lui adorava, e che recita ubi bene, ibi patria, ovvero dove ti senti bene, quella è la tua patria. La patria fatta dei vostri abbracci e del vostro affetto, che ha accolto Gregorio quand’era ancora ragazzo, e dove rimarrà per sempre, sì, proprio lì, tra quelle strade e in quei posti dove eravamo abituati ad incontrarlo con indosso la sua divisa, e che ancora profumano un po’ di lui.
Grazie, Maggiore Nardone. Arrivederci, Papà.