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Politica

Legge elettorale: perché è ora d’indignarci

Arriva un momento in cui incazzarsi non soltanto è legittimo, ma addirittura doveroso. Anzi, no, una semplice incazzatura non è nemmeno sufficiente: è ora che questo benedetto popolo cominci a indignarsi, a urlare la propria rabbia nei confronti di un regime partitocratico mascherato da democrazia, che oggi, per l’ennesima volta, ha sputato in faccia alla voglia di partecipazione degli italiani.

Sarebbe ora che noi tutti per una buona volta la finissimo di farci prendere per il culo da politici di mezza tacca che ci dicono «con la legge elettorale non si mangia», perché è vero il contrario, e con leggi elettorali fatte su misura per loro – i politici – mangiano a sbafo da una vita. Con i soldi nostri.

Vi pare normale che dal dopoguerra a oggi, abbiamo avuto la bellezza di 66 governi? Ma come cavolo pensate che possano minimamente funzionare le cose se alla base c’è un sistema obsoleto? Oggi la Consulta poteva dare il via libera a un referendum che sarebbe stato perfettamente in linea con la volontà popolare espressa con il referendum del ’93 e, è bene ricordarlo, anche con quello il cui quorum sfumò per un soffio nel ’99, mentre invece ha deciso di conservare le prerogative di questo regime partitocratico vecchio e irriformabile.

Perché il maggioritario?

In un’intervista al Giornale, Mario Segni ha giustamente citato una definizione del celebre politologo francese Maurice Duverger che diceva che «la classe politica è per sua natura favorevole al proporzionale perché il maggioritario toglie potere ai partiti per darlo agli elettori mentre il proporzionale fa l’esatto contrario.» Ergo, con il maggioritario chi prende un voto in più vince e governa per cinque anni, mentre chi perde se ne sta all’opposizione. Punto.

Invece, con il proporzionale che vuole propinarci questo governo inaggettivabile, torneremmo dritti dritti alla prima repubblica, con i partiti che si metteranno d’accordo in Parlamento, ovviamente dopo le elezioni. Bello schifo.

«Non succederà nulla – affermava due giorni fa Dario Franceschini riferendosi alla decisione della Consulta – sia in un caso, sia nell’altro. La maggioranza si blinderà comunque vada. Anche perché nessuno vuole consegnare il Paese a Salvini. Fino all’elezione del Capo dello Stato tutto resterà congelato. Non abbiamo alternativa. Né tanto meno sembra averla il M5S».

L’obiettivo non è prendere le decisioni migliori nell’interesse del paese, quindi, ma “blindarsi” e “non consegnare il paese a Salvini”, capito?

Di fronte a tanta sfacciataggine credo che oltre a noi, al popolo, debbano indignarsi anche i politici che credono che una svolta maggioritaria sia imprescindibile, perché imprescindibile è restituire alla gente la possibilità di scegliere da chi farsi governare. Se così è davvero, si mettano in gioco, mobilitino le loro basi e scendano in piazza a raccogliere le firme per riproporre il referendum, senza farsi risucchiare per l’ennesima volta da un dibattito che serve soltanto ad allungare il brodo dell’ennesima legislatura fondata sui giochi di palazzo e sugli interessi dei partiti.

Chi ha veramente a cuore le sorti di questo Paese abbia il coraggio di dire basta altrimenti taccia, ma poi non rompa i coglioni se le cose continueranno a non funzionare.

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è consulente di marketing strategico, keynote speaker e docente di branding e marketing digitale all’International Academy of Tourism and Hospitality. È stato inviato di «Vanity Fair» negli Stati Uniti per seguire Donald Trump, a Kiev per la campagna elettorale di Zelensky, collabora con diversi media ed è autore di 10 libri. Nel 2016, per promuovere la versione inglese de Il Predestinato ha inventato la sua finta candidatura alle primarie repubblicane sotto le mentite spoglie del protagonista del romanzo, il giovane Congressman Alex Anderson. Una case history di cui si sono occupati i principali network di tutto il mondo.

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