A seguito della vicenda che ha portato alla inopinata e immotivata chiusura dei profili Twitter di Orwell e del nostro editore, Alessandro Nardone, abbiamo chiesto – e abbiamo il piacere di pubblicare – il parere dell’avvocato Davide Biondini. Con questo contiamo di venire incontro alle lecite esigenze di molti altri utenti (anche di Facebook e YouTube) che sono stati cancellati o censurati senza nessuna valida motivazione.
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I servizi offerti da Twitter possono essere modificati discrezionalmente.
Twitter può interrompere, anche permanentemente, la fornitura dei servizi o di qualsivoglia funzionalità all’interno degli stessi.
Twitter mantiene il diritto di creare limiti all’utilizzo e all’archiviazione dei dati immessi dall’utente. Twitter può rimuovere o rifiutare di pubblicare i contenuti sui servizi, limitare la distribuzione o visibilità di qualsiasi contenuto sul servizio, sospendere, risolvere e recuperare username, senza alcuna responsabilità nei confronti degli utenti.
Twitter può sospendere o risolvere l’account o cessare la fornitura dei servizi in tutto o in parte, in qualsiasi momento e per qualsivoglia motivo, o senza alcun motivo.
Ciò è quello che si legge nelle loro condizioni di servizio. Chiaro, intellegibile e trasparente.
Twitter può fare dei contenuti pubblicati dall’utente, dei suoi dati, del suo account ciò che vuole. Senza addurre motivazione alcuna. Senza alcuna responsabilità nei confronti dell’utente.
Del resto, qualcuno penserebbe, oltre ad essere chiaramente scritto nelle condizioni generali, il servizio viene contrattualmente reso a titolo gratuito!
Di cosa ci dogliamo? Se è gratis la merce sei tu! (Leitmotiv dell’epoca digitale)
Ma è veramente così? I social network possono decidere delle sorti negoziali a propria ed insindacabile discrezione?
Twitter è un servizio di notizie e microblogging fornito dalla società Twitter Inc. su cui gli utenti postano e interagiscono con messaggi chiamati tweet. Conta 319 milioni di utenti attivi mensilmente (Fonte wikipedia). Svolge pertanto un ruolo centrale e di primaria importanza nell’ambito dei social network, nella società dell’informazione e della comunicazione digitale.
Come poc’anzi anticipato, opera attraverso speciali Condizioni di Sevizio che ne disciplinano i termini di utilizzo e regolano il rapporto tra ciascun utente e la Società. Condizioni conosciute al momento della sottoscrizione del contratto tramite registrazione. Pattuizioni che l’utente si impegna ad accettare, utilizzare e rispettare.
In caso di violazione delle regole pattizie da parte dell’utente il suddetto regolamento contrattuale prevede l’irrogazione di misure sanzionatorie rappresentate dalla modificazione e rimozione di contenuti, dalla sospensione dell’utilizzo del servizio e dalla disabilitazione (temporanea o permanente) dell’account.
Fino a qui tutto bene. In violazione di regole pattizie scatta una sanzione consistente, nei casi più gravi, nella risoluzione del contratto per (grave) inadempimento.
Ma laddove il recesso e/o la risoluzione possano essere unilateralmente decisi da una delle parti che nemmeno, come nel caso di specie, sembra tenuta a dare alcuna motivazione, salvo a tentare “ogni ragionevole sforzo per informare” l’utente “tramite l’indirizzo email associato (omissis) o la prossima volta che tenti l’accesso (omissis), a seconda delle circostanze” – quindi in buona sostanza a giochi fatti – come si comporta (o si dovrebbe comportare) il diritto?
Il nostro ordinamento può davvero legittimamente ammettere l’insindacabilità di una condotta sanzionatoria preventiva? Prima ti condanno e poi, se ne ho voglia, cerco le prove.
Ben-ritornati al futuro medioevo digitale.
Non è così!
Infatti, da un’analisi più approfondita della “funzione sociale” svolta dai social network o della “causa concreta” sottesa al contratto con gli stessi stipulato (da intendersi quale sintesi dei reciproci interessi che lo stesso è diretto a realizzare secondo un generale principio di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.) non può non rilevare il ruolo preminentemente assunto dai social network con riferimento all’attuazione dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico come quello, in primis, della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione).
L’esclusione illegittima e immotivata di un account – soprattutto se appartenente ad un testata giornalistica (recente il caso della sospensione del profilo Orwell e quello del proprio CEO Alessandro Nardone da Twitter) – non può dunque essere regolamentata dalle sole regole pattizie che dovranno invece cedere a principi essenziali e superiori – quali quelli costituzionali – perché agli stessi contrari.
Il rapporto tra la Società dell’informazione (come Twitter) e l’utente non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati. La speciale posizione sociale assunta dal Social Network, deve, a maggior ragione, attenersi al rispetto delle principali regole ordinamentali salva la puntuale, preventiva e motivata dimostrazione di violazioni alle pattuizioni negoziali – o normative – tale da giustificare il rimedio redibitorio.
De guisa, l’esclusione di un account, soprattutto se appartenente ad una testata giornalistica (e/o ad una associazione Politica come recentemente dimostrato nella vertenza CasaPound/FB) si pone in contrasto con la libertà di espressione e con altri principi costituzionali che dovranno trovare preminente tutela in ogni stato di diritto.
Quindi, se è vero che l’omesso avviso di disabilitazione della pagina non sia contrattualmente previsto da Twitter, ciò non comporta che la sua illegittima sospensione non debba essere sanzionata con l’immediata cessazione della condotta illecita (riattivazione immediata del profilo) laddove, oltretutto, il pregiudizio, in termini di danno all’immagine, sia solo parzialmente suscettibile di riparazione per equivalente. Pericolo, oltretutto, tale da giustificare un provvedimento di urgenza da parte dell’autorità giudiziaria.
Per analogo motivo, nemmeno potranno applicarsi quelle clausole limitative della responsabilità che si leggono nelle condizioni di servizio citate: In sintesi “faccio ciò che voglio dei tuoi contenuti andando esente da ogni responsabilità”.
Infatti, se è vero che la gratuità della prestazione comporta, in alcuni casi, l’attenuazione della responsabilità del soggetto giuridico agente, le clausole che limitano la responsabilità, se poste a tutela di interessi superiori, dovranno considerarsi nulle. Si tratta, in questo caso, di una disposizione imperativa o di ordine pubblico che mira a tutelare i diritti fondamentali della persona che, in nessun modo, potranno essere messi a repentaglio da illecite clausole contrattuali.