Dopo le informazioni d’identità, i gusti e le preferenze, i colossi della tecnologia stanno ora puntando a un altro settore della vita personale degli utenti: i dati sanitari. Da qualche anno, ormai, le grandi aziende come Apple e Google stanno lavorando su sistemi di archivio sanitario sia con investimenti sia con accordi con start-up.
Negli Stati Uniti d’America la digitalizzazione delle cartelle mediche va avanti da molti anni, tanto che esiste già un server per la raccolta di informazioni mediche (ricette o prescrizioni di medicinali) usato da medici e pazienti.
Qualora i giganti della tecnologia ottenessero le informazioni sanitarie si aprirebbero scenari più gravi di quelli a cui ci siamo abituati. Nell’ultimo anno ci sono state già diverse denunce per violazioni dei dati personali e anche con i sistemi di sicurezza più avanzati, il rischio rimane.
LE TAPPE DELLA DIGITALIZZAZIONE
Come detto, il processo di innovazione della sanità va avanti da decenni. Se in Italia o in altri paesi europei si usa l’archivio cartaceo, negli Usa le cartelle cliniche elettronica sono una realtà in diversi ospedali. Nonostante gli ammodernamenti del servizio sanitario abbiano portato anche problemi (scambi di terapie o risultati di esami mai arrivati), il processo non si è fermato, tanto che, nell’agosto del 2011, è uscita la prima versione di FHIR, un server per lo scambio di cartelle cliniche messo a punto da HL7, un’organizzazione per lo sviluppo tecnologico della sanità.
L’idea alla base di FHIR è quella di condividere informazioni specifiche tra medico e paziente, come sintomi, procedure o diagnosi, senza dover ritirare documenti di persona.
Ebbene questa invenzione è stata avallata dalla politica americana con norme che ne hanno spianato la strada. Nel 2016 il Congresso americano ha approvato una legge che punisce con multe le strutture sanitarie che non intendono aggiornare i propri sistemi, mentre nel 2018 il Governo ha varato una legge che taglia i fondi pubblici a tutte le aziende sanitarie che non utilizzare app compatibili con il server FHIR.
LE MOSSE DEI BIG TECH
In un mercato così promettente le multinazionali della tecnologia hanno preso la palla al balzo. Apple e Microsoft, già competitor nel mercato della tecnologia di consumo, sono in corsa per accaparrarsi quanti più utenti possibili. Entrambe hanno lanciato un’applicazione rivolta ai consumatori: con Health Records di Apple si può interagire con il proprio medico personale; con Azure per FHIR di Microsoft si possono richiedere prestazioni sanitarie.
Anche gli altri colossi della Silicon Valley che già sono in possesso di dati di cittadini di mezzo mondo non sono rimasti a guardare, proponendo software destinati ai professionisti. Nel 2018 Google ha firmato un contratto di collaborazione con l’American Medical Association (Associazione dei medici americani) per sviluppare una piattaforma cloud per la gestione dei dati sanitari sempre con lo standard FHIR.
LE CRITICHE
Nonostante gli accordi impegnino le multinazionali a rispettare le leggi in materia di privacy, la domanda sorge legittima: perché appaltare le banche dati di malati o pazienti a imprese private?
Innanzitutto, per migliorare il servizio e rendere lo scambio di informazioni sempre più dinamico. Tuttavia, il pericolo di esposizione dei dati personali a uso del mercato farmaceutico (e non solo) rimane elevatissimo.
Diverse associazioni per la tutela dei consumatori e esperti di sicurezza informatica avvertono che le informazioni sulla salute personale condivise sul web potrebbero essere compromesse. Anche con i sistemi di protezioni più avanzati, il rischio di esposizione online è dietro l’angolo. Basti pensare alla fuga dei dati (password, numero di cellulare, indirizzo di residenza) di 267 milioni di utenti Facebook avvenuto lo scorso dicembre.
Con i dati sanitari però la questione diventa più delicata, dato che – in caso di falla – chiunque potrebbe leggere informazioni private sulla salute fisica o mentale di milioni di persone. Risultati di test, prescrizioni mediche, esperienze cliniche precedenti diventerebbero di dominio pubblico.
Così, se da una parte il progresso tecnologico porta benefici, dall’altra occorre garantire i diritti dell’utente. Una sfida che in questi ultimi anni sta diventando sempre più ardua.