Simone Tarantino cresce a Milano nel quartiere di San Siro dove vede ricchezza e povertà da un punto di vista trasparente.
Dopo essersi laureato in Biologia alla statale di Milano, inizia a lavorare per Intel, grazie alla quale scopre, per la prima volta, l’America, dove vi si trasferisce definitivamente nel 2003.
A distanza di quasi vent’anni dal suo trasferimento a New York è oggi alla guida di Startup Home, un’azienda che offre supporto ad imprenditori provenienti da minoranze etniche.
Ciao Simone, ti va di raccontarci in poche parole chi sei e di cosa ti occupi?
Dunque, sono Italiano di origine ma adottato da New York, sono qui da quasi 20 anni, mi occupo di diverse cose, quasi tutte nel mondo delle startup e dell’imprenditoria.
Sono un mentor e coach in uno dei più importanti acceleratori di aziende della east coast, consulente in diverse startups, ed ho delle mie attività personali in diversi settori, inclusa una no profit. Diciamo che mi tengo occupato (molto).
Dall’Italia agli Stati Uniti: cosa ti ha portato Oltreoceano?
La più antica delle storie…
Una ragazza americana conosciuta a Milano. Ma è stata solo un acceleratore, perchè come tanti ragazzi ho sempre avuto il sogno di vivere a New York, e grazie a lei ho potuto farlo. Da li ho iniziato la mia avventura americana che ancora oggi mi fa scoprire ed imarare cose nuove tutti i giorni.
Raccontaci di più di Startup Home.
Startup Home è un’impresa ad impatto sociale, che aggrega coliving, coworking e incubazione creando hub di innovazione specifici per donne, persone di colore e tutta quella parte dell’ecosisterma delle startup che è sottorappresentato, in città secondarie e terziarie, come Philadelphia, Atlanta, Detroit, San Antonio, Pittsburgh e diverse altre.
L’idea è nata a Londra, dove abbiamo 4 locations che sono però solo coliving. Qui in America abbiamo deciso di dare una svolta sociale, aiutando quella parte di popolazione che benchè abbia tantissimo talento, non riesce ad accedere al capitale e soprattutto alla rete di supporto di mentor e tutor.
Quale consiglio daresti ai giovani startupper?
Oh wow, ci sarebbe da scrivere un libro intero solo per rispondere a questa domanda…
Credo che il consiglio più importante e fondamentale per tutti i giovani che vogliono fare startup, sia di crederci e di impegnarsi al 120% e di non aver paura di sbagliare, perchè se non fai errori vuol dire che non stai imparando nulla.
Il 25 giugno hai presenziato da New York al lancio della piattaforma di Orwell, una startup che hai visto venire alla luce. Qual è stato il tuo ruolo in questo processo?
Il mio ruolo all’evento, insieme ai manager della Italian Trade Agency a New York, è stato quello di dare la prospettiva del mercato e dell’ecosistema delle startup in USA. La mia esperienza quasi ventennale in questo mercato mi da modo di avere una prospettiva completa dell’ecosistema e di poter vedere le enormi differenze che ancora esistono tra il mercato Italiano e quello Americano.
Orwell ha fin dall’inizio voluto avere un approccio più “americano”, cosa che gli permette di avere quel vantaggio competitivo necessario per attirare clienti globali.
Il team di Orwell, che seguo fin da quando era solo un’idea, ed in particolare Alessandro Nardone, stanno lavorando sodo per offrire un prodotto che possa davvero cambiare il modo di comunicare delle aziende Italiane e a farle lavorare in modo piu dinamico come già succede alle aziende d’oltre oceano.